La Cassazione ha fornito ulteriori specifiche sull’addebito della separazione in presenza di una relazione extraconiugale di uno dei due coniugi

Stancarsi del matrimonio e intraprendere per questo una relazione extraconiugale non è una giustificazione per evitare l’addebito della separazione.
Lo ha stabilito la Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 15079/2017, confermando l’addebito della separazione a carico di una moglie per la rottura definitiva con il marito.
I giudici hanno, infatti, confermato alla donna l’addebito della separazione per aver intrapreso una relazione extraconiugale e abbandonato la casa familiare.
Nel caso di specie, la donna aveva fatto ricorso in Cassazione contro la sentenza che le aveva addebitato la separazione personale dal marito per avere intrattenuto una relazione extraconiugale e abbandonato la residenza familiare senza il consenso di lui.
Il ricorso della donna si fondava sul fatto che – secondo la Corte di merito – non c’era la prova di una pregressa intollerabilità della convivenza, ma soltanto di una certa “stanchezza” della moglie verso la vita coniugale.
Secondo la sesta sezione civile, però, la sentenza impugnata “ha deciso in senso conforme alla giurisprudenza di legittimità, secondo la quale l’allontanamento dalla residenza familiare, ove attuato senza il consenso dell’altro coniuge, a meno che sia avvenuto per giusta causa, costituisce violazione di un obbligo matrimoniale che dà luogo necessariamente a cessazione della convivenza ed è conseguentemente causa di addebito della separazione”.
Gli Ermellini hanno poi ulteriormente specificato che è vero che “l’inosservanza dell’obbligo di fedeltà coniugale richiede comunque la prova, da parte di chi richiede l’addebito, del nesso di causalità con l’intollerabilità della convivenza” ma che questa stessa prova può essere data anche in via presuntiva, e l’apprezzamento circa la responsabilità di uno o di entrambi i coniugi “è istituzionalmente riservato al giudice di merito e non può essere censurato in sede di legittimità in presenza di una motivazione adeguata”.
Per tali ragioni, i giudici non hanno ammesso il ricorso della donna ritenendolo infondato, e l’hanno condannata a pagare anche le spese di lite.
 
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