Una specifica sentenza si è espressa in merito alla possibilità di sospendere l’avvocato che viola il codice deontologico negli articoli 5, 6 e 41

È legittimo sospendere l’ avvocato che viola il codice deontologico e, nello specifico, gli articoli 5, 6 e 41? La Corte di Cassazione ha risposto a questa domanda con la sentenza n. 19163 del 2017.
I giudici hanno stabilito che sospendere l’ avvocato che viola il codice deontologico è legittimo. Nel caso di specie, è stata decisa una sanzione disciplinare per un avvocato che non aveva versato al suo assistito la somma corrispostagli dall’assicurazione a copertura di una responsabilità professionale. 
La Cassazione è stata estremamente netta nei confronti del professionista romano protagonista dell’episodio in questione, sostenendo che sospendere l’ avvocato che viola il codice deontologico come in questo caso, e in particolare, che viola gli articoli 5, 6 e 41 del Codice, sia giusto.
Nello specifico, sono stati sei i mesi di pausa decisi dal Coa di Lucca, ridotti poi a due dal Consiglio nazionale forense che – nel febbraio 2016 – ha riqualificato gli illeciti in base al nuovo codice deontologico, escludendo quindi il “reato” di gestione di denaro altrui, ma reputando censurabile la condotta tenuta dal professionista nel corso dell’esecuzione iniziata nei suoi confronti.
L’accusa del Coa che è stata poi riportata anche nella sentenza n. 19163 a Sezioni Unite depositata il 2 agosto scorso, è che l’avvocato oltre ad aver dimenticato di versare al suo assistito – il quale nel frattempo lo aveva citato in giudizio per responsabilità professionale ottenendo nei suoi confronti la condanna al risarcimento dannila quota versata dalla compagnia assicuratrice, aveva tenuto un comportamento ostruzionistico e non collaborativo nei confronti dell’ufficiale giudiziario.
L’imputato, decidendo di fare ricorso in Cassazione, aveva quindi lamentato dei vizi motivazionali e una illogicità manifesta. Oltre a questo aveva denunciato la violazione dell’articolo 24 della Costituzione e dei principi generali sul diritto di difesa ed eccesso di potere, per non aver il Cfn considerato che il credito posto in esecuzione dal suo ex cliente fosse un “provvisorio”, poiché non era ancora stato accertato da una sentenza definitiva.
Il ricorso, però, è stato rigettato dalla Cassazione, la quale ha ricordato che le decisioni del Consiglio nazionale forense in materia disciplinare sono impugnabili davanti alle Sezioni Unite della Cassazione, solo “per incompetenza, eccesso di potere e violazione di legge”.
I giudici hanno quindi ribadito un principio cardine, ovvero che non è consentito alle Sezioni Unite sindacare sul piano del merito le valutazioni del giudice disciplinare.
Per queste ragioni, il ricorso dell’avvocato è stato rifiutato e il professionista sospeso.
 

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